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  • Artista, Designer, Scenografo o Architetto?


Non mi identifico e non mi piace quando mi si definisce artista, ritenendo chi fa arte una persona libera da qualsiasi influenza o limitazione.
Oggi purtroppo è diventato un termine abusato, molti credono di essere o si ritengono artisti senza possedere un minimo di cultura o conoscenza, ma è proprio l'ignoranza che rende così spregiudicati. I concetti di "arte" e "artista" dovrebbero generalmente essere applicati valutando le componenti estetiche e di originalità. Oggi, erroneamente, la parola è usata anche e semplicemente come sinonimo di creativo.

  • Come nascono i tuoi progetti e da dove prendi l'ispirazione?


I progetti possono nascere in molteplici modi: possono avere un'origine romantica, come un'intuizione sotto la doccia, oppure essere frutto di riflessioni su quello che non va in quegli oggetti che utilizziamo e si pensa quindi a come migliorarli.
Si può anche riflettere su un oggetto nuovo o immaginare un diverso suo utilizzo, comunque bisogna osservare, osservare ed osservare il mondo.

  • Quali sono i tuoi punti di riferimento nel mondo del design?


Non sono oggetti né correnti di pensiero, ma alcuni designers che hanno saputo interpretare e addirittura plasmare il nostro gusto del bello: da Le Courbusier a Mies Mies van der Rohe, da Richard Sapper a Ron Arad, da Marco Zanuso a Marc Sadler, da Achille Castiglioni a Philippe Starck, da Tom Dixon a Jasper Morrison, da Marc Newson a Marcel Breuer, senza dimenticare Michael Thonet e Josiah Wedwgood, i due pioniere ed artefici del vero industrial design.

  • L'oggetto più inutile della storia? E quello senza il quale non potresti vivere?


Sarò scontato, prevedibile e poco originale, ma a mio parere l'oggetto di design più inutile della storia, pur possedendone uno a casa, rimane sempre il Juicy Salif di Starck. Inutile dal punto di vista funzionale, specialmente la versione da collezione, quella che si corrode a contatto con i limoni, ma affascinante dal punto di vista iconografico. L'oggetto di design senza il quale non potrei vivere è probabilmente la mia lampada, la Mantide.

  • Per quali icone del design faresti follie?


Nessuna follia, per differenti motivi, apprezzo particolarmente alcuni prodotti: Barcellona - Mies Mies van der Rohe; Falkland - Bruno Munari; S-Chair - Tom Dixon; N°14 - Michael Thonet; P.Tolomeo - Bruno Rainaldi; Astor - Grafite Design; Brera - Achille Castiglioni; Tizio - Richard Sappe; Fil de fer - Enzo Catellani; Tolomeo - Michele De Lucchi; Sciangai - Donato D'Urbino, Jonathan De Pas, Paolo Lomazzi; Variable - Peter Opsvik; Model one - Henry Kloss ed altri ancora.

  • Cosa pensi del Design?


Uno dei primi problemi da affrontare, quando si comincia a studiare il design, è la definizione stessa del termine. In Italia si è sempre parlato di Disegno Industriale, la nostra passione per le parole straniere ci ha portato però ad adottare il termine Design, che originariamente in inglese ha un significato più generale, molto più simile al nostro "progetto". Una definizione di design potrebbe essere quindi tutto ciò che deriva da un buon progetto, anche se appare molto limitativa. Oppure, la definizione di design può essere fatta per "accumulo", unendo alcuni termini che ne costituiscono i caratteri essenziali come: progetto, creatività, innovazione, praticità, ergonomicità, bellezza.
Questa differenza sembra quasi voler segnare la separazione tra il vecchio Disegno Industriale degli anni '60 e il Design di oggi. I due termini non dovrebbero avere differenze nel loro significato ma in realtà, nel momento in cui si è sostituito il termine Disegno Industriale con quello di Design, si sono persi alcuni principi fondamentali legati al momento storico.
Sembra giusto ricordare che il Disegno Industriale nasce in un paese relativamente povero, appena uscito da una guerra, con importanti imprese che fanno ricerca e con una nuova generazione di progettisti che vedevano il progresso e l'innovazione come un qualcosa di cui dovevano usufruire più persone possibili, ma anche con un'idea di produzione, soprattutto nelle piccole e medie imprese, ancora molto vicina all'artigianato. Questi elementi, sommati al tipo di mercato del momento, davano al designer la possibilità di progettare avendo a disposizione più tempo, di concentrarsi sulle effettive esigenze delle persone e sui bisogni reali, che andavano soddisfatti nel miglior modo possibile. Oggi, invece, il tempo a disposizione per portare a termine un progetto è sempre più breve, un designer, anche se lavora in Italia, deve rispondere ad un mercato globale, mutevole, complesso, molto spesso saturo e per questo sempre più schiavo del marketing.

  • Quali devono essere le vere competenze di un designer?


Le scelte di un designer possono sembrare libere ma in realtà sono sempre sottomesse ad un contesto di priorità rigide, quindi non c'è da stupirsi che, cambiato il contesto, cambi anche il modo di fare Design. Inoltre le nuove esigenze del mercato hanno modificato sicuramente il modo di fare design ma non il suo significato, poiché da sempre il designer deve mediare tra le esigenze dell'utilizzatore e quelle di chi produce.
Oggi però esiste anche una visione distorta del design che è quella che porta ad utilizzare questo termine come una sorta di formula magica per vendere i prodotti; il design diventa moda, arte, finanche cucina o semplicemente un taglio di capelli, quindi utilizzato, erroneamente, per definire un qualsiasi prodotto di qualità o di ricercata personalità estetica. Questo inoltre porta il designer ad essere considerato una star, che progetta completamente libero da vincoli, sempre più vicino alla figura dell'artista.
Gli oggetti perdono così valore ma si caricano di significati sociali che li rendono sempre più invadenti e appariscenti.
Questo nuovo modo di intendere la parola Disegno Industriale porta ad un cambiamento sostanziale del suo significato; il designer, infatti, invece di sparire e di lasciare che siano le persone i veri attori, rimane come presenza forte e distintiva, è importante solo che gli oggetti siano stravaganti e riconoscibili. In questo modo la funzionalità passa in secondo piano ma anche l'estetica spesso scaturisce da una semplice volontà personale; gli oggetti diventano idoli da venerare, incontestabili, incapaci di trasmettere un insegnamento e anzi rischiano di scontrarsi con noi nella vita di tutti i giorni proprio perché non veramente progettati per l'uomo.

  • Cosa pensi degli Status Symbols?


Ciò di cui ci circondiamo, che usiamo e possediamo dovrebbe rispecchiare la nostra personalità. Perfino gli status symbols che possediamo rivelano il nostro bisogno di apparire in un certo modo, esaltando il significato superficiale e oscurando quello emozionale dell'oggetto.
La casa è un contenitore di messaggi e noi possiamo scegliere di farci rappresentare da oggetti che abbiano un loro dichiarato valore o da oggetti che abbiano un significato per il nostro vivere. Nel primo caso ci troveremmo in uno spazio espositivo che comunica il valore della cosa ma non la nostra personalità, mentre nel secondo caso avremmo uno spazio ricco di simboli creativi che più ci rappresentano.

  • Il rapporto tra arredamento e design?


In Italia e nel mondo è sensibilmente cresciuta l'attenzione per la casa come ambito privato in cui cercare funzionalità e confort. E' cresciuto anche il desiderio di mobili e oggetti che non sempre hanno un'elevata qualità di rifinitura ma che, per forma, materiali e colori, possiedono una forte identità e creano emozioni. Questa particolare attenzione ha determinato un bisogno di chiarire un rapporto, fino ad ora inesistente, tra arredamento e design. Mentre può essere chiaro cosa si intenda per arredamento, indicando i mobili e gli oggetti usati per rendere abitabile, confortevole e piacevole la casa, rimane meno chiaro il concetto di design.

  • Ed infine, quali sono per te, le figure ritenute pioniere del concetto di industrial design?


Con certezza cito Michael Thonet, straordinaria figura di artigiano, inventore e imprenditore, dal 1830 ebbe il merito di sperimentare nuove tecniche per laminare e curvare il legno in modo da ottenere forme che evitassero i costosi sistemi di modellazione ad intaglio e incastri. La sedia n°14 fu il prodotto che diede a Thonet gran fama e prestigio, senza dubbio il modello più famoso prodotto dalla Thonet, messo in produzione nel 1855, composto di soli sei pezzi assemblati. Lo schienale e le gambe posteriori sono un unico pezzo, il sedile è rifinito con paglia di Vienna ed ancora oggi è in produzione.
Ma ancor prima di Thonet è la figura di Josiah Wedwgood, ceramista inglese della seconda metà del 700, che deve essere presa in considerazione in virtù della sua capacità di organizzare le sue fabbriche sul principio della massima meccanizzazione in base alla divisione del lavoro, sostituendo l'unitaria attività dell'artigiano con squadre d'operai specializzati in ciascuna fase del processo. Egli per primo cercò equilibrio fra qualità estetica, quantità e basso costo dei prodotti realizzando quel principio etico - estetico che diventerà la caratteristica dell'industrial design degli anni '60.

A.P.

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